domenica 27 gennaio 2008

Il Decameron



Il Decameron è l'opera principale di Giovanni Boccaccio, scrittore fiorentino che nacque nel 1313 e morì nel 1375. Boccaccio fu testimone durante la sua giovinezza della pestilenza che afflisse Firenze provocando un numero spaventoso di morti. Questo episodio tragico della sua vita verrà poi riportato nel Decameron con dovizia di particolari ed è il motore della vicenda. I dieci giovani protagonisti della storia, infatti, per fuggire la peste, si rifugiano in campagna dove uno di loro ha un palazzo. Qui i giovani per passare il tempo raccontano ogni giorno dieci novelle, una a testa. La durata del soggiorno è di dieci giorni (Decameron = dieci giorni:"deca" in greco vuol dire dieci; "emeron" invece vuol dire giorno), per cui le novelle saranno in totale cento.

Qui sotto è riportata l'introduzione del Decameron che ho parafrasato liberamente in italiano corrente, partendo dalla versione originale in volgare.
Alessandro Altieri



DECAMERON: PARAFRASI DELL'INTRODUZIONE
....Dico dunque che la vicenda è ambientata nel 1348, quando nella importante e bellissima città di Firenze, venne la peste mortifera: la quale [...] ha avuto inizio dall'oriente, [...] e si è diffusa poi per tutto l'occidente.
Nonostante i vari provvedimenti adottati dagli uomini per contrastare il morbo: come ad esempio il vietare l'ingresso nelle città degli uomini infettati e pulire la città dalle sporcizie; nonostante le preghiere e le processioni che si susseguirono per invocare l'aiuto di Dio; il morbo cominciò a manifestarsi nella primavera del 1348. Mentre il morbo in Oriente si era manifestato attraverso sanguinamenti del naso, in Occidente invece il morbo si manifestava, nello stesso modo a maschi e femmine, con dei rigonfiamenti sotto l'inguine o sotto le ascelle. Questi rigonfiamenti crescevano a volte grandi come un uovo e a volte grandi come una mela, dalla gente chiamati "gavoccioli". [...] I consigli dei medici o le medicine si erano dimostrati inutili per curare questa malattia.[...] Con il passare del tempo la situazione peggiorò, non solamente infatti il parlare e il toccare gli infermi trasmetteva la malattia ai sani, ma anche il toccare i panni o qualunque altra cosa dagli infermi era stata toccata o adoperata. [...] Che altro si può dire [...] se non che la crudeltà del cielo, e forse in parte quella degli uomini, fu tanta e tale che fra marzo e luglio seguente, sia per la forza del morbo sia per il fatto che molti infermi non erano curati o erano abbandonati per la paura che i sani avevano di essi, oltre centomila uomini morirono dentro le mura di Firenze [...].
All'inizio della pestilenza, quando ormai la città di Firenze stava svuotandosi, [..] nella chiesa di Santa Maria Novella semi vuota, un martedì mattina, dopo aver sentito la messa, si trovarono sette giovani donne unite sia per amicizia, sia per parentela. Queste giovani donne erano tra i diciotto e i venti anni, tutte istruite, di nobili famiglie e belle di aspetto. Queste donne una volta incontratesi in chiesa, si misero a sedere in cerchio e iniziarono a discutere della situazione.
Iniziò a parlare Pampinea: “Donne mie care, la ragione non ha mai danneggiato coloro i quali l' hanno usata onestamente. E' sensato che ciascuno che nasca, faccia di tutto per aiutare e proteggere la propria vita [...]. Se torniamo alle nostre case non so se a voi capiterà quello che capita a me: io, di tutta la mia famiglia, trovo nella casa solo la mia domestica. Impaurisco e quasi tutti i capelli che ho li sento arricciare, perché mi pare di vedere le ombre di coloro che sono morti, ma non con quei visi che io ero solita vedere, bensì con delle facce orribili.
Per questo motivo stare in città e stare a casa mi fanno star male. E se la situazione è così drammatica che facciamo noi qui? Che cosa aspettiamo? Che speriamo? Perché siamo meno attente alla nostra salute ri-spetto agli altri cittadini che se ne sono andati? Ci reputiamo meno importanti delle altre? Oppure credia-mo che la nostra vita sia legata con catene più forti al nostro corpo rispetto agli altri? Noi volendo potrem-mo scappare. Noi, così come altri prima di noi, dovremmo uscire da questa terra e fuggir così la morte an-dando a vivere nelle nostre ville di campagna. In questi luoghi potremmo dedicarci alle feste, all'allegria e a vari divertimenti senza però oltrepassare il limite del buon senso."
Le altre donne, dopo aver ascoltato Pampinea, non soltanto lodarono il suo consiglio, ma iniziarono a discutere sul modo in cui realizzare la cosa. Ma Filomena, una ragazza del gruppo disse: " Donne, seppur le cose dette da Pampinea siano giuste, vi voglio ricordare che siamo tutte femmine e difficilmente sappiamo muoverci senza un uomo. Noi siamo infatti sospettose, litigiose e paurose, e c'è il rischio che senza la guida di un uomo la nostra compagnia si dissolva.”
Disse allora Elena: "Senza gli uomini raramente riescono i nostri progetti, ma come possiamo aver degli uomini, quando i nostri sono quasi tutti morti a causa della pestilenza?"
Mentre tra le donne si parlava così, ecco che entrarono nella chiesa tre giovani, di cui il più giovane aveva poco meno di venticinque anni. [...] Questi si chiamavano Panfilo, Filostrato e Dioneo, assai piacevoli nell'aspetto e educati.[...] Pampinea, che era parente di uno dei giovani, levatasi in piedi andò loro incontro e gli parlò. Pregò loro con animo fraterno di prender parte al progetto. [...] I giovani acconsentirono e senza alcun indugio si unirono al gruppo delle ragazze e tutti insieme si prepararono per la partenza.
Giunsero dopo appena due miglia al luogo precedentemente stabilito. Questo luogo era sopra una piccola montagnetta […] ricco di vari alberelli e piante piene di verdi fronde, piacevoli da guardare. Sulla cima di questa montagnetta c’era un palazzo con un bello e gran cortile al centro, e con logge e con sale e con ca-mere, tutte bellissime e ornate di liete pitture. Attorno al palazzo c’erano prati e giardini meravigliosi con pozzi d’acqua freschissima […]. La comitiva di giovani che stava arrivando trovava così al suo arrivo ogni co-sa potesse arrecare piacere.
Dopo essere arrivati e postisi a sedere, Dioneo, giovane pieno di spirito, disse: “ Donne, la vostra prudenza ci ha qui guidati. […]Io i brutti pensieri li ho lasciati dentro le mura della città, quindi o vi divertite ridendo e scherzando con me, oppure preferisco tornare nella città con tutte le sue tribolazioni.”
Rispose allora in modo lieto Pampinea: “Dioneo dici cose giuste: bisogna vivere festosamente e lasciare da parte le cose tristi che ci hanno fatto fuggire. Ma poiché le cose che non sono accompagnate da metodo non possono durare a lungo, io che fui l’iniziatrice dei discorsi dai quali originò questo gruppo, penso che sia necessario che tra di noi ci sia giorno per giorno un capo, verso il quale noi ci mostreremo ubbidienti. Questo capo avrà il compito di pensare al nostro divertimento. [… ] Per non creare invidie e per far provare a tutti il compito di guidare il gruppo, a ciascuno di noi verrà attribuito questo ruolo per un giorno solo”. […] Queste parole piacquero molto alla comitiva che elesse Pampinea come regina del primo giorno; e Filomena, corsa velocemente ad un alloro, […] fece di alcuni rami una corona che fu messa sopra la testa della regina. […]
Non era da molto sonata l’ora non, che la regina, alzatasi, tutti gli altri fece alzare […] e se ne andarono in un praticello, nel quale l’erba era verde e alta […], e si posero a sedere in cerchio, sentendo un soave venticello che soffiava. Allora la regina (Pampinea) disse loro : “ Come voi vedete il sole è alto e il caldo è grande, né altro s’ode che le cicale su per gli olivi[…]. Qui è bello e si sta al fresco […] e penso che la cosa più giusta sia quella di passare il tempo raccontandoci delle novelle e così trascorreremo questa calda parte del giorno. […] Le donne e gli uomini insieme, tutti lodarono questa proposta di Pampinea.
“Dunque” – disse la regina – “se questa è la vostra volontà, per questa prima giornata voglio che ognuno di voi sia libero di raccontare una novella sull’argomento che gli è più gradito.” E quindi rivolta verso Panfilo, che sedeva alla sua destra, gli disse in maniera cortese che avrebbe dovuto iniziare lui a raccontare. Allora Panfilo, sentita la richiesta ed essendo ascoltato da tutti, cominciò così.

3 commenti:

  1. Complimenti, ragazzi, un ottimo lavoro! Ho guardato, ascoltato, letto tutto con molta attenzione. Complimenti anche al vostro prof.!
    Stefania Giacalone
    ins. primaria graf

    Avete voglia di gemellarvi con la mia classe (3C)di piccoletti ? Sono bravi e se la cavano con il PC!

    RispondiElimina
  2. complimenti davvero ottima parafrasi.Anzi vi volevo kiedere se me la potevate dare tutta all'indirizzo email mazziaton91@tiscali.it fatemi sapere

    grazie

    RispondiElimina
  3. è possibile avere tutta la parafrasi dell'introduzione??

    RispondiElimina